Anche se il Green pass sembra avere i giorni contati per alcuni settori e sembra concludersi, temporaneamente, questa esperienza tremenda dettata da pass e restrizioni, i danni che questo tesseramento ha creato non sono indifferenti e non sarebbe giusto non rendere noto a tutti (nel caso in cui non fossero abbastanza evidenti) i problemi che questo ha creato, soprattutto nelle associazioni, nei comitati e in tutte le strutture giuridiche che curano l’aspetto sociale del nostro Paese.
Oltre agli innumerevoli problemi economici di freno per la famosa e tanto attesa ripartenza dei consumi, buchi e vuoti giuridici per la gestione del controllo del Green pass e della tutela alla privacy, oggi tocca fare i conti con un danno le cui conseguenze si protrarranno nel tempo: la divisione della società.
Ho deciso di intitolare questa breve riflessione con un gioco di parole: “Il Green Pass: arma “di-istruzione sociale”, perché vorrei spiegare come lo Stato ci ha istruiti molto bene alla distruzione di tutto ciò che la società e socialità assieme avevano costruito in precedenza, ponendo fine a moltissime realtà sociali, educative, istruttive e d’intrattenimento.
Non è difficile descrivere il quadro pre-covid sotto questo aspetto, perché tutte le attività di volontariato, di associazionismo e di cooperazione sono state messe a dura prova dal modello di società in cui siamo inseriti. Viviamo in una società basata sul successo personale, sull’individualismo che non ammette margini di “improduttività” (il che è tutto dire rispetto a quale criterio si reputano produttive o meno attività), in cui ciò che è contro corrente è di per sé sbagliato, o privo di fondamento. Insomma, le associazioni non se la passavano troppo bene prima, figuriamoci ora, per le quali anche se ci fosse la volontà dei membri di partecipare e costruire un percorso di comunità, per molti tutto ciò non sarebbe in ogni caso possibile, per colpa di una tessera che permette solo ad alcuni di accedervi.
Un esempio calzante è il mio ex gruppo scout, che ha aderito alla ideologia dell’associazione di cui fa parte, pretendendo l’esibizione del Green Pass rafforzato da parte di tutti i ragazzi maggiorenni.
Oltre all’assenza di parole per esprimere il livello di bassezza che si è raggiunto con questa scelta, e non nascondendovi che, alla fine, la branca scout del Clan (cioè dei ragazzi dai 17-21 anni) si è di fatto sciolta per questo motivo, quello che vorrei farvi notare riguarda due aspetti principali.
In primis, l’ipocrisia. Ipocrisia, sì, perché lo scoutismo (come molte altre associazioni) non è questo. Persino il suo fondatore, Baden Powell, parlava già agli inizi del 900 di “fratellanza con il prossimo”, ma forse meglio spiega il Patto associativo Agesci (1999), che tutti i capi scout dovrebbero conoscere bene:
“La nostra azione educativa cerca di rendere liberi nel pensare e nell’agire, da quei modelli culturali, economici e politici che condizionano ed opprimono, da ogni accettazione passiva di proposte e di ideologie e da ogni ostacolo che all’interno della persona ne impedisca la crescita”.
È per questo che dico che quello di oggi non può essere scoutismo, se non si interpreta questo Patto alla lettera. Con che coraggio si possono lasciare isolati dei ragazzi (la maggioranza, nel caso del mio gruppo) in questo periodo storico, perché non vogliono esibire/non possiedono una tessera, per sentirsi parte di una comunità?
Non credo servano ulteriori allarmismi, perché i danni sono chiari: problemi di depressione, ansia, disturbi alimentari, suicidi, separazioni in famiglia… E, nonostante ciò, sembrano non essere bastati mesi (o anni?) di lockdown, restrizioni, limitazioni e Dad, perché ora questi ragazzi devono, secondo certi, accollarsi pure il peso di essere “untori” all’interno di un sistema, quando gli unici untori sono gli stessi che applicano queste regole e, così facendo, contagiano gli altri, perché normalizzano tutto questo e si rendono sempre più conformi al sistema ormai vigente.
Il secondo aspetto che vale la pena far notare riguarda l’impopolarità di pensarla come noi. I telegiornali, i giornalisti, i virologi da salotto televisivo ci hanno dipinti come “feccia della umanità” cit. il perbenista Saverio Tommasi, oppure come “la causa di tutti i problemi che stiamo vivendo” cit. Draghi.
Quindi stare dalla parte di una posizione scomoda e sminuita, simile ad un’immagine costruita da mostri, richiederebbe un’analisi d’introspezione non indifferente, talvolta una richiesta troppo complessa, rispetto alla lineare possibilità di assecondare tutte queste regole, mettendo una mascherina, disinfettandosi le mani, mostrando il Green Pass, stando zitti e giustificando tutto ciò con un perbenismo diffuso che non sta né in cielo e né in terra. È ovvio che, così facendo, lo Stato riesce a tenerci divisi (e ci sta riuscendo) tra pro vax e no vax, pro pass e no pass e a distruggere tutti i luoghi e punti di formazione di aggregazione giovanili che per anni sono stati un sostegno alla società e alle famiglie.
Insomma, il Green Pass ha avuto un senso, l’unico forse, in campo di istruzione sociale: ci ha istruiti ad auto distruggerci; infatti, sembra che non abbia fatto altro che creare luoghi di tensione (invece che luoghi di “sicurezza”): senza nessuna garanzia di protezione per la propria salute e con una socialità distrutta, nel momento in cui forse tutti noi avremmo avuto bisogno (a maggior ragione) di sentirci parte di un qualcosa. Non a caso, una società è controllabile, se divisa (esisteva forse un detto latino così?), una società è meno reattiva e meno cosciente, se si impediscono alle associazioni e alla cultura di arricchirsi di idee nuove e di rinnovarsi alla luce del periodo che abbiamo tutti vissuto in passato.
Dividi et impera.
Daino entusiasta