Progresso tecnologico ed etica: spunti di riflessione

Dal secolo scorso la tecnologia, intesa come un qualunque sistema artificiale in grado di fornire un servizio oppure realizzare oggetti necessari all’essere umano, ha cominciato a radicarsi nella vita di ognuno di noi in maniera sempre più significativa.

Il suo sviluppo ha ricevuto notevoli impulsi durante i periodi della guerra con la ricerca di nuove soluzioni non solo belliche ma anche di uso quotidiano. La realizzazione di quest’ultime, attraverso processi di industrializzazione, ha reso i nuovi prodotti accessibili al grande consumatore. Ad esempio, citiamo l’introduzione delle onde radio, teorizzate dal fisico matematico James Clerck Maxwell nella seconda metà dell’Ottocento, i sistemi di calcolo per crittografia dei messaggi durante la Seconda Guerra Mondiale (Enigma e Colossus) oppure la bomba atomica da cui poi si è giunti a sviluppare un sistema di estrazione dell’energia (le centrali nucleari). 

Ciò viene preso in considerazione dagli informatici Gordon Moore e in un secondo momento  da Ray Kurzweil, i quali sono riusciti ad estrapolare l’andamento della crescita tecnologica in una funzione matematica, ovvero una legge secondo la quale dati dei parametri in ingresso fornisce dei valori in uscita. Le variabili d’ingresso nel nostro caso specifico sono gli investimenti economici, la quantità e velocità di elaborazione dati che si ha a disposizione. Facendoli variare e tenendo traccia dei risultati si riesce a tracciare un grafico e visualizzare la funzione. Si scopre che l’andamento è di tipo esponenziale. In termini quantitativi, la tecnologia cresce molto rapidamente e questo ha portato a chiedersi dove poterla collocare all’interno della nostra società con il trascorrere degli anni. La soluzione è stata trovata nei così detti sistemi embedded, ovvero dispositivi elettronici che sfruttano tutta la  potenza di calcolo del chip al loro interno per poter fornire un servizio all’utente. Un esempio pratico può essere la macchinetta del caffè: alla richiesta di erogazione del caffè essa esegue dei calcoli per fornire la bevanda selezionata automaticamente. Uno step applicativo successivo a questo si può vedere in un altro esempio, ovvero i fanali delle automobili di ultima generazione: essi sono sensorizzati e in grado di rilevare la luce dell’ambiente circostante e accendersi o addirittura regolare la luminosità del fanale in funzione della luce esterna in totale autonomia. 

Quelle appena citate sono solamente due delle molteplici applicazioni embedded che al giorno d’oggi vengono sfruttate per avere una migliore efficienza sia in termini produttivi che energetici ed esentare l’uomo da certe tipologie di azioni.

Si provi ora ad estremizzare il pensiero precedente e a guardare al futuro dell’uomo pensando che qualunque oggetto può essere sensorizzato diventando di fatto intelligente. Si aggiunga che tali strumenti, possono, ormai, anche dialogare tra loro mediante la rete internet. Queste premesse aprono la strada alla creazione di sistemi autonomi dove l’uomo può essere senza troppa fatica rimpiazzato da uno o più dispositivi cooperanti, superando addirittura i limiti fisici dell’essere umano e svolgendo le sue stesse mansioni con prestazioni qualitativamente migliori.
Sorgono, a questo punto, delle domande spontanee ed è giusto che tutti noi cominciamo a chiederci se stiamo costruendo una società a misura d’uomo o se ci stiamo dirigendo verso una disumanizzazione della comunità a favore dell’ottimizzazione, di regole della tecnica e di un cinismo forsennato verso l’unico obiettivo della contemporaneità: il profitto. A livello di vertice dei maggiori colossi multinazionali, attualmente, osserviamo che tali ideologie prendono il sopravvento sui valori dell’etica, facendoci dimenticare chi siamo e soprattutto che non abbiamo bisogno di creare futili conflitti con i nostri concorrenti nel libero mercato solamente per imporre una visione di innovazione. 

Viene da chiedersi se sul piano sociale, ammesso che l’uomo e una tecnologia estremamente pervasiva possano convivere in perfetta simbiosi, si finirà in realtà come quelle descritte in “1984” di George Orwell e ne “Il mondo nuovo” di Haldous Huxley, ovvero società distopiche dove pochi oligarchi gestori della tecnologia controlleranno l’intera popolazione.
Oppure riusciremo a contrastare tutto questo? 

Un’altra riflessione che vorrebbe proporre il presente articolo sta nel fatto che l’innovazione, come già esposto in precedenza, è una pulsione umana nata per sopperire a dei bisogni quotidiani oppure rendere più semplice e veloce una qualunque produzione di beni o l’erogazione di un servizio: la società si sta muovendo verso una vita più comoda e tecnicamente assistita. Si pensi però al fatto che la quantità di persone che utilizza la tecnologia e chi fa innovazione di quest’ultima è la netta minoranza. Infatti, si sta rendendo più facile e veloce la vita della popolazione sfruttando intellettualmente le migliori menti del pianeta e creando un gap cognitivo importante fra due fazioni: gli innovatori e i puri consumatori. Questi ultimi saranno indotti a pensare sempre meno perché come già spiegato la tecnologia cresce molto rapidamente e questo implica che all’interno della società ci saranno dispostivi sempre più intelligenti e autonomi che si traduce quindi in una maggiore complessità realizzativa. Concludendo il ragionamento è possibile che in un futuro non molto lontano la società sia formata da consumatori che non avranno la necessità di compiere il minimo sforzo per ottenere ciò che vogliono.

Da qui sorgono altre questioni ovvero se in nome della comodità e del progresso il genere umano stia barattando, se non addirittura delegando, le capacità pratiche e teoriche di cui è in possesso per dispositivi freddi, cinici e standardizzati. Quali scenari possono aprirsi date queste premesse?
Ai posteri l’ardua sentenza.  

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Una opinione su "Progresso tecnologico ed etica: spunti di riflessione"

  1. La riflessione è davvero molto interessante e comunque estremamente importante in quanto il tema della tecnica ed il suo rapporto con l’uomo è sicuramente diventato molto problematico da un secolo almeno a questa parte in modo direttamente proporzionale alla pervasività della stessa all’interno della nostra vita. In particolare si è trovato molto interessante la parte nella quale si è rimarcato la distinzione nella società tra i pochi “innovatori” che le tecnologie le producono, e gli innumerevoli “utenti” i quali usano le tecnologie senza comprenderne appieno il loro funzionamento.

    Tuttavia nell’intero post manca un elemento fondamentale per la comprensione della questione: che *la tecnica non è mai neutrale in quanto il fine che essa si propone di perseguire è sempre esito del finanziamento di chi la propone e la implementa*. Se non si capisce questo si finisce per “naturalizzare” il processo di assoggettamento delle persone alle tecnologie, ignorando i motivi politici socio-strutturalmente fondati che ne indirizzano lo sviluppo e l’implementazione nella società.
    Le multinazionali di cui si è parlato nel post, non si limitano semplicemente a fare profitto, ma agiscono con azioni di lobbying sui governi affinché questi istituzionalizzino determinati prodotti rendendoli necessari. Ad esempio lo smartphone o il calcolatore in generale non è più un mezzo scelto dall’utente secondo un atto volitivo per la soddisfazione di determinati fini a lui congeniali, bensì uno strumento necessario per interfacciarsi con la pubblica amministrazione e non solo, senza il quale si è esclusi dalla società. Ciò lo si deve alla fantomatica “agenda digitale”, che i governi perseguono su pressioni delle lobby che hanno il vero interesse ad implementarlo e non solo per una mera questione di profitto, ma proprio per un riassesto della società in senso di dipendenza dal rentier dei ceti subordinati consolidando la propria posizione sociale. Ossia il capitale che è “un rapporto sociale mediato da merce” trova nella informatizzazione e nella promozione di prodotti alienanti per l’interfacciarsi con l’altro la sua propria ragion d’essere portata al parossismo.

    Rispondendo alla domanda finale, tenuto conto di quanto sopra esposto sebbene in modo sintetico, essendo l’alienazione un fatto sociale come sociale è la tecnologia, ed essendo la società normata dalla legge ed essendo la legge promulgata dai parlamenti, la lotta contro la alienazione necessità di lotta politica di una formazione che abbia al centro il cambio di paradigma economico.

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